Pubblicato il: 02 ottobre 2024

Archiviato il: 11 dicembre 2024

Il Santo "di famiglia": la devozione antoniana nella tradizione dell’altarino domestico

di Maria Cristina Roselli

 


Antonio di Padova è indubbiamente uno tra i Santi più amati e conosciuti in tutto il mondo. Non vi è paese in cui non si custodisca una sua immagine e non si celebri la sua festa: il 13 giugno sulle tavole dei fedeli è immancabile il pane benedetto, ricevuto al termine della Santa Messa, da spezzare e condividere. Impossibile non conoscere almeno un “Antonio” o una “Antonella” a cui rivolgere dei sentiti auguri per l’onomastico.

 

Per le strade di Molfetta si sente l’aria di festa, con la Bassa Musica che suona per richiamare i devoti verso la chiesetta di Sant’Andrea nel centro storico, fulcro della devozione cittadina. Da lì, Confratelli e Consorelle si riversano per le strade, per recarsi nelle case degli anziani e degli ammalati, per portare un conforto, una preghiera, un sorriso a chi ne ha più bisogno. È l’eredità del Santo patavino.

 

Accanto a questa forma esteriore di devozione, esiste un’altra, molto più discreta e silenziosa, ma non per questo meno sentita. È la devozione domestica, manifestata attraverso la realizzazione dell’altarino su cui troneggia l’immagine del Santo. In passato, era un’usanza molto sentita e diffusa quella di realizzare piccoli altari nelle case o agli angoli delle strade, attorno ai quali famiglie e vicini si riunivano per recitare il Rosario e le preghiere per il Santo o la Vergine a cui il trono era dedicato. Tradizione che, purtroppo, sta scomparendo.

 

Io, nel mio piccolo, mi impegno a portare avanti questa tradizione che, nella mia famiglia, è strettamente legata ad un piccolo quadretto raffigurante il giovane Antonio, che teneramente accosta il suo viso a quello del Bambino, in un busto a rilievo. È una bellissima eredità che ho ricevuto da mia nonna materna Gina, che per decenni si è sempre impegnata nella recita della Tredicina e di ogni sorta di preghiera per il Santo di Padova, davanti al suo altare domestico, realizzato sempre con grande amore e devozione.

 

Grazie all’invito rivoltomi dalla Confraternita di Sant’Antonio di scrivere questo articolo sulla particolare devozione nella mia famiglia, ho avuto uno stimolo in più per informarmi e documentarmi sull’origine di questa tradizione. Ho scoperto, in tal modo, che questo quadretto è un dono fatto dal padre a mia nonna in occasione della nascita del suo primo figlio. In seguito ad un importante evento privato, che avrebbe potuto avere un esito drammatico, mia nonna implorò l’intercessione del Santo, facendo voto che se tutto fosse andato per il meglio, lei si sarebbe impegnata ad onorarlo e a mantenere viva la sua devozione con l’altare domestico e la recita della Tredicina e della Corona di Sant’Antonio, promettendo di donare il pane benedetto a chiunque facesse visita all’altarino da lei allestito per i successivi tredici anni. E così fu. Mi è stato raccontato che, per ogni 13 giugno di quei primi 13 anni, mia nonna abbia distribuito un quintale di pane e fatto realizzare ben tredici corone di pane intrecciato, una per ogni famiglia che partecipava alla Tredicina in casa sua, originariamente nel suo paese natio dove è tradizione radicata ed in seguito a Molfetta.

 

Ancora oggi, in quel paese nel barese si onora tale tradizione: i devoti che allestiscono questi altarini devozionali, aprono le porte delle loro case a chiunque voglia far visita, per fare un saluto a quella famiglia, per invocare l’intercessione del Santo, ricevendo in cambio il pane benedetto. Chi ha avuto il piacere di partecipare all’epoca, ricorda tutto con grande affetto. Terminato l’impegno della distribuzione del pane, che veniva benedetto dal sacerdote puntualmente invitato per l’occasione, la devozione è continuata nella realizzazione degli altarini, meno complessi ed elaborati nel tempo, ma sempre ricchi di candele, immagini sacre e degli immancabili gigli che riempivano tutta la casa con il loro profumo.

 

Negli ultimi tempi, quando noi nipoti, prima bambini e poi giovani adulti, ci recavamo a casa sua per la visita a lei e al “suo” Sant’Antonio, eravamo soliti assaporare la granita di limone e tutto ciò che di buono ci offriva. Ora quel quadretto, alcuni di quei tessuti bianchi e di quei portafiori, sono in casa mia. Ho portato con me la devozione che mia nonna ha curato con tantissimo amore, oltre ogni sforzo fisico e mentale. Sant’Antonio ormai si accontenta di un altare molto più piccolo e modesto rispetto a quello a cui era stato abituato. E si accontenta anche dei lilium, perché dei gigli ormai è difficile vederne l’ombra. E dalla moltitudine di gente che vedeva per la Tredicina dagli anni ’50, adesso si compiace della compagnia di un paio di persone, che si impegnano ugualmente a recitarla con la stessa fede del passato.

 

Ogni volta che recupero quel delicatissimo Sant’Antonio dalla valigetta originale nel quale è custodito da sempre, srotolando i molti strati di tessuto a protezione, immagino mia nonna che osserva la scena, agitandosi per paura che possa farlo cadere o possa far bruciare qualcuna delle lampadine colorate che gli ha montato a cornice, che Sant’Antonio è “u megghie” e guai a fargli un torto. E magari Sant’Antonio, quello vero, segue il tutto con un bel sorriso sulle labbra. Sant’Antonio per la mia famiglia è amore, condivisione, appuntamento irrinunciabile, ricordi bellissimi, foto in bianco e nero ed a colori. Ed io ho promesso di continuare la devozione domestica in suo onore, per chi è stato e per chi verrà.