Pubblicato il: 04 novembre 2024

I Fallimenti sperimentati da Antonio di Padova

di Sergio Pignatelli

 

Quando pensiamo a Sant'Antonio, il Santo più venerato della Storia, ci risulta difficile credere ad un Santo che in vita ha affrontato scelte poi rivelatesi fallimentari. Questo perché nel nostro ideale tendiamo a pensare che per diventare Santi bisogna vivere una vita perfetta, a maggior ragione per uno come Antonio la cui canonizzazione è stata la più rapida, tra quelle conosciute, della storia della chiesa.

 

Certo il titolo può sembrare irriverente e un tantino provocatorio ma analizzando alcune scelte di vita dirette o indirette del Santo ci accorgiamo di quanto esse alla fine siano state mutate radicalmente dalla volontà dell'Onnipotente al punto da risultare quasi fallimentari. Analizziamone alcune.

 

La scelta di diventare canonico regolare contribuirà certamente alla formazione teologica del Santo e alla conoscenza delle Sacre Scritture che tanto gli saranno utili durante le sue predicazioni ma, quando nove anni più tardi Fernando si imbatté in Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto, i quattro francescani mandati da San Francesco alla volta del Marocco con l'intento di convertire i musulmani dell'Africa, egli capisce che la sua vocazione va oltre le mura del monastero agostiniano e decide di diventare frate francescano. Una scelta netta, un taglio con il passato, al punto che il neo-frate decide di cambiare anche il suo nome di battesimo: da Fernando in Antonio, in onore del santo monaco orientale a cui era dedicato il romitorio di Olivais di Coimbra dove vivevano i primi francescani portoghesi e che Fernando aveva da poco tempo conosciuto. La spedizione africana dei cinque frati francescani finisce in tragedia: furono tutti uccisi per decapitazione, poco dopo l'inizio della loro missione di evangelizzazione. I loro corpi furono riportati a Coimbra pochi mesi dopo. Il sacrificio di questi fratelli francescani costituì per Antonio la spinta a fornire la totale disponibilità ad andare in Africa a riprendere la missione di evangelizzazione anche a costo di un altro, molto probabile, martirio.

 

Nell'autunno del 1220 s'imbarcò con un confratello, Filippino di Castiglia, alla volta del Marocco. Tuttavia, giunto in Africa, contrasse una, non meglio specificata, malattia tropicale e dopo alcuni mesi, perdurando il male, venne convinto da Filippino a tornare a Coimbra. I due frati si imbarcarono diretti verso la Spagna, ma la nave si imbatté in una tempesta e fu spinta sulle coste della Sicilia orientale, naufragando tra Tusa e Caronia. Ancora una volta il disegno dell'Eterno aveva previsto per lui un altro destino.

 

Una volta rimessosi e dopo aver partecipato al capitolo delle stuoie, Antonio fu notato da frate Graziano, che apprezzando soprattutto l'umiltà e la profonda spiritualità di Antonio, decise di prenderlo con sé e lo assegnò all'eremo di Montepaolo, non lontano da Forlì, dove già vivevano sei frati. Qui arrivò nel giugno 1221 con gli altri confratelli e si dedicò a una vita semplice, a lavori umili, alla preghiera e alla penitenza. Ma anche questa scelta sarà ben presto rivoluzionata.

 

Nella seconda metà del 1222 la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di Forlì. L'Assidua racconta che: «venuta l'ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti. Tutti i presenti però si schermirono dicendo che non era loro possibile né lecito improvvisare. Il superiore si spazientì e rivoltosi ad Antonio gli impose di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito. Questi dovette obbedire suo malgrado e la sua lingua, mossa dallo Spirito Santo, prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa».

 

Della predica di Antonio giunse notizia ai superiori ad Assisi, che lo chiamarono stabilmente alla predicazione. Le sue scelte di vita vengono dunque letteralmente stravolte: Antonio cambia nome, cambia nazionalità, nasce portoghese e muore italiano, cambia ordine, missione e ruolo. Anche uno dei suoi più celebri miracoli nasconde una scelta di cui Antonio probabilmente ebbe a pentirsi. Un giovane padovano, di nome Leonardo, andò a confessarsi da Antonio. Tra gli altri peccati, confessò anche di aver dato un calcio così forte a sua madre da farla cadere a terra. Antonio con aria di deplorazione commentò: «Il piede che colpisce il padre o la madre dovrebbe essere amputato.» Naturalmente il Santo non intendeva che le sue parole fossero prese alla lettera visto che il giovane, tornato a casa, prese un’ascia e si mutilò il piede. Ben presto la notizia raggiunse Antonio che sconcertato, e forse un po' pentito per non essersi assicurato che il giovane avesse inteso il reale senso del suo ammonimento, corse immediatamente alla sua casa. Entrato nella sua stanza, si inginocchiò e dopo aver pregato con fervore il Signore, fece un segno della croce, e accostò il piede amputato alla gamba. E qui si compie lo straordinario miracolo: il piede rimane attaccato alla gamba.

 

Ma c'è un altro miracolo, che le agiografie antoniane ci tramandano, dove si sottolinea una scelta umana fallimentare. Questa volta però Antonio subisce la scelta. È il crepuscolo del 13 giugno 1231, Antonio è appena nato al cielo, quando i frati decidono di non diffondere subito la notizia della morte dell’uomo santo, perché, conoscendo la devozione che il popolo nutriva per lui, temevano di essere travolti dalla moltitudine. Sant’Antonio non condivide questa scelta ed ecco, d’improvviso, frotte di bambini innocenti, percorrendo i quartieri della città, a voce alta cantilenavano: «È morto il padre santo! È morto Sant’Antonio.»

 

Sant'Antonio ci fa comprendere che non dobbiamo scoraggiarci di fronte all’umano fallimento. I fallimenti sono talvolta necessari nel nostro percorso di vita perché tutti sanno che quando falliamo, impariamo qualcosa. Questo è, infatti, ciò che i nostri genitori ci hanno spiegato ed è ciò che, di rimando, insegniamo ai nostri figli.