Pubblicato il: 29 luglio 2019

Archiviato il: 25 agosto 2019

Umiltà e santità nella persona di Sant’Antonio

 

 

«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime» (Mt 11,29). L’omelia del Vescovo, Mons. Domenico Carnacchia, in occasione della Santa Messa celebrata lo scorso 12 giugno per l’ultimo giorno del Triduo Solenne, ci permette, ancora oggi, di riflettere sui concetti di santità e umiltà, partendo proprio da Sant’Antonio.

 

«Nel cuore è indicata l' umiltà , nel cuore questa virtù ha la sua dimora preferita. L’umiltà deve nascere prima di tutte le altre virtù. Da essa, infatti, viene il principio di tutte le opere buone, e ha un grande influsso in tutte le altre, perché è la madre e la radice di tutte le virtù. San Bernardo commenta così: “Quanto più a fondo scaverai le fondamenta dell’umiltà , tanto più in alto sorgerà l’edificio della santità”. L' umiltà è più nobile delle altre virtù, perché con la sua nobiltà sostiene umilmente le cose meno nobili e meno pregiate; dev’essere collocata di preferenza nel posto più alto, cioè negli occhi, e in quello più avanzato, cioè nei gesti del corpo. Dice, infatti, il Vangelo dell' umile pubblicano, “Non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore!”». Come ci suggerisce Antonio nel Sermone 13 per la III Domenica dopo Pasqua, santità e umiltà sono strettamente connesse, proprio come ha più volte sottolineato il Vescovo.

 

Purtroppo, per noi, figli della civiltà dell’immagine, l’umiltà non è più una virtù e la vera sapienza è quella egolatria/egoistica del “darla a bere” il meglio possibile. Per trovare ristoro, proprio come aveva fatto Antonio, lasciamoci istruire da Gesù, maestro buono, mite e umile di cuore. Quello sull’umiltà non è un insegnamento marginale del Vangelo: la nostra pace, il nostro ristoro sta nel ritrovare la “via antica” percorsa da Gesù e dai migliori discepoli, quella della mitezza e dell’umiltà.

 

Sant’Antonio intercede presso Dio e viene ascoltato perché ha imparato da Maria Santissima l’umiltà. Ha annunciato il Vangelo vincendo la tentazione del potere, la tentazione della superbia, la tentazione - direbbe oggi papa Francesco - delle tante mondanità che ci portano a recitare la vita o a voler apparire. Infatti, non c’è servizio in politica, nel lavoro, nella scuola o nella famiglia senza umiltà. Il Vangelo di Gesù è annuncio di gloria, ma attraverso l’amore che si china sull’altro (profugo, migrante, disoccupato, abbandonato o solo, malato, carcerato, emarginato, povero) e si prende cura di lui.

 

Ricordiamocelo, l’umiltà non è umiliazione, avvilente deprezzamento delle proprie capacità, ma riconoscimento sereno, lucido e sincero della nostra vera situazione.

 

L’umiltà è realismo a tutto tondo e amore per la verità. Si comprende perché Antonio la ponga a fondamento della vita spirituale: l’umiltà è la caratteristica fondamentale che rende autentico il nostro rapporto con noi stessi, con gli altri e con Dio. E di fronte a Dio l’umile di cuore sa di ricevere tutto per dono, e non per presunti o presuntuosi meriti da accampare.

 

È l’esperienza inevitabile del limite a fare da cartina di tornasole dell’umiltà: se siamo afflitti dal demone dell’autosuf-ficienza e della presunzione nelle nostre forze, di fronte al limite impietriremo il cuore in disperazioni rabbiose e mute disperazioni. L’umiltà insegna, invece, a entrare nel nostro limite aprendoci alla fiducia e alla speranza nel Dio che può tutto e ci ama. Ecco perché Antonio vede nell’umiltà il principio di ogni opera buona. Saremo cristiani efficaci se, come Sant’Antonio, sapremo uscire da noi stessi per predicare Cristo crocifisso, scandalo e pazzia, seguendo Gesù con uno stile di vera umiltà, di amorosa umiltà. Che parlino le opere, predicava sant’Antonio.

 

Marcello la Forgia