«Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito» (don Tonino Bello)
L’accoglienza è un’apertura, far entrare in una casa, in un gruppo, in se stessi. Accogliere vuol dire mettersi in gioco, e questo esprime una sfumatura ulteriore rispetto al concetto di ospitalità, che può essere anche solo un buon costume. Chi accoglie rende partecipe di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l'altro diventando un tutt'uno con lui. Così ho cercato di interpretare il mio ruolo nel “servizio accoglienza” lo scorso 20 aprile, per la visita pastorale di Papa Francesco.
L’attesa è stata lunga, stancante, quasi interminabile. Spalanchi gli occhi, è notte fonda. È la notte del 20 aprile 2018, è la notte probabilmente che riempirà ciascuno di noi di qualcosa di unico ed irripetibile, è la notte che esalterà la nostra amata città, la nostra amata Molfetta, agli occhi del mondo: è la notte dell’attesa, è la notte di Papa Francesco, è la notte di don Tonino.
Gambe in spalla, colazione veloce, racimolo le ultime poche cose da inserire nel mio piccolo zaino, unica ancora per le successive 12/13 ore. Un saluto alla mamma: «Forse ci becchiamo nei pressi di Banchina San Domenico, tanto il mio settore lo conosci».
“Settore”: nella nostra vita, avremo pronunciato questa parola probabilmente una decina di volte, ma nelle ultime settimane è rimbombata nelle nostre menti quasi come un martello pneumatico, quasi fosse una persecuzione.
I primi fedeli sono già in coda.
L’attesa, la voglia, la curiosità, la fede fanno da padroni. Pettorina gialla sulle spalle, pass al collo, dritto verso i controlli di sicurezza, e via nel percorso a coadiuvare servizio d’ordine e sanitario. Si aprono i varchi: la gente comincia con fretta e trepidazione a riempire ed affollare varchi e rispettivi settori. Ora è chiaro la prima attesa è finita, la festa sta per cominciare.
Circoliamo per tutto il percorso della papa mobile, gestiamo gli ingressi, distribuiamo informazioni, socializziamo con i bambini disposti lungo la Banchina sugli sgabelli di cartone. La giornata è splendida. Il sole comincia a sollevarsi, la brezza del primo mattino comincia a calare, il caldo comincia a farsi sentire, comincia la distribuzione delle bottigliette d’acqua per dissetare i più piccoli.
Ore 9.00 circa: comincia la diretta dell’arrivo del Santo Padre ad Alessano, partono boati, urla canti di gioia, applausi. Tutti concentrati a seguire passo dopo passo i movimenti del nostro amato Papa Francesco.
Si intonano le note della canzone tanto amata da don Tonino, Freedom, la partecipazione è assoluta anche se l’ulteriore attesa dell’arrivo del Papa fa sì che non si riesca a capire quello che dopo pochi minuti sarebbe accaduto.
Via il giubbottino, prima, la felpa dopo, si è quasi in un bagno di sudore, i volti emozionati della gente, li osservi, li senti, ne fai tesoro, piovono ringraziamenti e sorrisi per il servizio che stai prestando (un onore).
E tra un canto e l’altro delle prove del coro diocesano, ecco il rimbombo delle eliche del tanto atteso elicottero. Pochissimi secondi di un silenzio assordante e poi l’apoteosi: sembrava quasi toccare il cielo o, meglio, quell’elicottero con un dito, eravamo tutti in Paradiso.
Il Papa sale sulla Papa-mobile e si dirige verso il palco. Non c’era nessun accordo tra i 40 mila presenti, ma il coro era solo uno: Papa Francesco!
Sono vicino il monumento sulla Barchina a ridosso del palco, accanto alla sagrestia montata apposta per il Santo Padre: le guardie svizzere stoppano qualsiasi attività. Papa Francesco era tra noi, don Tonino tra noi!
Inizia la Santa Messa e il nostro servizio continua. L’acqua sta per terminare, bisogna rifornirsi nei pressi della Cattedrale: abbraccio le casse delle bottigliette per accoglierne il più possibile e riempio il mio zaino. Il sottofondo era solo uno, la voce del Santo Padre che suonava quasi come un inno a compiere fino in fondo il proprio dovere.
La celebrazione finisce, il Papa ritorna in sagrestia e qui, con i ragazzi addetti al carico merci, ottengo un dono inestimabile, una fortuna inaspettata, un momento che porterò dentro per tutta la vita: il suo saluto. Si dirige verso di noi, non esita un secondo: le guardie ci ostacolano per motivi di sicurezza, ma gli sfioriamo la mano, la stola, il suo cuore.
L’ultimo vero atto del nostro servizio è aiutare i disabili in carrozzella a oltrepassare la banchina, per poi essere condotti dal Santo Padre per ricevere il saluto tanto sentito ed emozionante. Subito dopo, inizia il giro tra la folla in papamobile.
Smartphone più in alto possibile per immortalare in momento migliore durante il suo passaggio, fazzoletti e foulard al vento, mani e braccia che si agitano incessantemente per richiamare la sua attenzione, sorrisi che fioccavano da tutte le bocche, cori di gioia che si intonavano a squarciagola.
Il giro è finito, riparte l’elicottero, i varchi cominciano a svuotarsi con ordine, selfie e video ormai impazzano su tutti i social, la stanchezza oramai è sui volti di tutti.
Torno a casa, non vedo l’ora di raccontare la mia giornata a tutti, non vedo l’ora di raccontare la mia attesa a tutti, non vedo l’ora di raccontare quale inestimabile e irripetibile dono ho ricevuto.
Un “dono” così grande, libero, gioioso.
Dopotutto è vero, Don Tonino aveva ragione. Quell’attesa infinita è stata solo l’infinito del verso amare: amare il prossimo, il più debole, il più bisognoso, nei singoli momenti e nelle sue sfaccettature. Del resto, le parole di Don Tonino attraverso la bocca di Papa Francesco hanno trovato la loro sede nelle nostre anime, nei nostri cuori: sta a noi mutare in collocazione “stabile” ed “eterna”, l’attuale “collocazione provvisoria”.
Sergio Porta