Festa della Lingua: non solo evento liturgico, ma momento di meditazione sulla Parola
La Festa della Lingua di Sant’Antonio non può (e non deve) essere solo l’ennesimo appuntamento confraternale di febbraio, ma una commemorazione che, oltre al suo significato storico (la traslazione del corpo del Santo patavino e il ritrovamento della lingua intatta), deve ricordarci l’importanza della Parola di Dio, dell’annuncio e della testimonianza cristiana. Aspetti che devono sempre caratterizzare colui che si vanta di essere iscritto alla Confraternita di sant’Antonio, non foss’altro per il “vantarsi” di possedere i carismi antoniani (tra cui, quello dell’ascolto della Parola e dell’annuncio quotidiano).
Ed è proprio su questi argomenti che padre Donato Sardella, vicario provinciale OFM, ha focalizzato il suo intervento nella conferenza di preparazione alla Festa della Lingua (lunedì 13 febbraio). Iniziato il suo intervento con la lettura di un estratto della Lettera di Giacomo («Sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira […] deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime […] siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi»), padre Donato ha evidenziato tre caratteristiche fondamentali di sant’Antonio: «era un uomo di preghiera, che ha accolto con docilità la Parola di Dio, mettendola sempre in pratica». «È un grande segno di predestinazione l’ascoltare volentieri la Parola di Dio - scrive Antonio nei suoi Sermones -. Come l’esule dimostra di amare la sua patria, così si può dire che abbia già il cuore rivolto al Cielo il cristiano che ascolta con interesse chi gli parla della Patria celeste».
Dunque, i tre verbi fondamentali sono ascoltare, accogliere e mettere in pratica: eppure, a questi, padre Donato ne ha aggiunti altri due, studiare e annunciare, guardando proprio alla figura di Sant’Antonio. «Don Fernando, il nome secolare di Sant’Antonio, era un canonico regolare studioso della Sacra Scrittura e docente di teologia. Entrato nell’ordine francescano, chiese a Francesco di poter continuare ad insegnare e Francesco, chiamandolo “mio vescovo”, acconsentì a questo suo desiderio - ha spiegato padre Donato -. I Sermones o l’opus evangeliorum, come Antonio stesso lo definisce, sono il frutto di quel compito affidatogli da San Francesco. Ed è proprio dai Sermoni che si può ricostruire tutto il percorso della spiritualità antoniana, anzi costituiscono un percorso sistematico condotto attraverso la Parola». Peraltro, proprio i Semones, ha aggiunto padre Donato, «sono un vero e proprio riferimento per i confratelli predicatori, perché costituiscono una sintesi tra la riflessione teologica che si offre nell’insegnamento e l’attenzione pastorale proveniente dalla predicazione popolare».
Non basta studiare, è necessario anche saper e voler annunciare la Parola di Dio, una volta accoltala nel cuore. E l’annuncio è stata la caratteristica fondamentale di Antonio, tra i massimi predicatori della Chiesa.«L’attenzione precipua dell’annuncio è rivolta particolarmente all’aspetto morale - ha evidenziato padre Donato - perché la predicazione deve condurre al mutamento di atteggiamenti e comportamenti negli ascoltatori».
Senza dubbio, la conferenza ha offerto ai presenti numerosi spunti di riflessione, non solo per la propria vita personale e sociale, ma anche comunitaria. Infatti, padre Donato ha concluso il suo intervento chiedendosi cosa ogni persona, ogni confratello, possa fare singolarmente, soprattutto se chiuso in atteggiamenti di autoreferenzialità rispetto ai fratelli e alla Parola. «Spesso diciamo che Dio non ci parla, non si cura di noi, ci ha abbandonati, non ci da nessun segno affinché possiamo camminare sulla retta strada - ha concluso padre Donato -. Ma spesso non è Dio che si chiude a noi, ma siamo noi che ci chiudiamo a Lui, non facendo quello che ci chiede. E cosa chiede Dio? È scritto nella Bibbia. Basta aprirla, leggerla, ascoltarla, lasciarsi guidare. E poi metterla in pratica».
Dunque, è opportuno leggere la Parola di Dio, che dev’essere guida nella vita, conoscerla, anche attraverso l’aiuto di un sacerdote per evitare di interpretarla in modo personale e secondo i propri comodi, e, infine, “ruminarla”, ovvero meditarla e applicarla. Lasciamoci mettere in crisi dalla Parola di Dio, perché la crisi non è negativa se abbiamo la forza di superarla e di annunciare la Verità.
Marcello la Forgia