Confraternita, radicale scelta di vita evangelica di pietà popolare
del prof. Giovanni Schinaia (intervento nel convegno "Evangelizziamo con la pietà popolare: la testimonianza di fede e di carità nella Confraternita" - Molfetta 27/28.11.2014)
La Confraternita è una realtà specifica, che si deve occupare di quei pii esercizi che i padri hanno tramandato. È evidente che ciò che è vero per la Chiesa in generale è tanto più vero per una qualsiasi realtà ecclesiale, come le Confraternite, che presuppongono una più radicale scelta di vita evangelica. L’adesione alla Confraternita comporta necessariamente la conferma degli impegni derivanti dai Sacramenti dell’iniziazione cristiana, con l’aggiunta del proprio specifico carisma della Confraternita a cui si decide di aderire.
Nell’omelia del 5 maggio del 2013 (Giornata mondiale delle Confraternite e della Pietà Popolare) Papa Francesco chiama in causa esplicitamente proprio questi pii esercizi, quelle processioni, quelle devozioni di cui tutti noi ci sentiamo protagonisti, tutte quelle tradizioni di cui giustamente tutte le Confraternite si ritengono gelose custodi e depositarie. Forse qualcuno crederà che la pietà popolare con tutte le sue tradizioni, sia una faccenda per nostalgici di un tempo che non c’è più, o per ignoranti, per sempliciotti.
A un certo punto, il Papa elenca una serie di mali che affliggono tante società, anche quelle di lunga tradizione cattolica: il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, una scarsa partecipazione all’Eucaristia, credenze fataliste o superstiziose che fanno ricorrere alla stregoneria. E qual è lo strumento per risanare questi mali? Naturalmente quella missionarietà che si traduce in carità di cui parlavamo prima. E qual è il punto da cui partire? Proprio la pietà popolare, con cui il popolo di Dio, spontaneamente si fa missionario, annunciatore, operatore di carità. Con la pietà popolare «il popolo evangelizza continuamente sé stesso».
Abbiamo un tesoro prezioso e inestimabile, un complesso di tradizioni e usanze legate, innanzitutto, al culto eucaristico, alla devozione mariana, alla devozione per la Passione e Morte di Nostro Signore. Nelle nostre Confraternite, nelle nostre famiglie, noi sappiamo quanto sono preziose le nostre cose, sappiamo quanto siamo orgogliosi di averle ricevute dai nostri padri, sappiamo quanto siamo tutti desiderosi di trasmetterle ai nostri figli. Diceva Pio XII che la tradizione è come una fiaccola, sempre accesa, che passa da una generazione all’altra. Noi sappiamo bene cosa custodiamo. Ma finché ci limitiamo a saperlo noi, abbiamo il dovere di chiederci, stiamo facendo di quella pietà popolare ciò che la Chiesa, mediante le parole del Papa, ci chiede di fare? In altre parole, abbiamo il dovere di chiederci, noi Confraternite, noi Confratelli siamo Chiesa? Siamo credibili in quello che facciamo? L’alternativa è terribile. Perché se non siamo credibili allora siamo dei feticisti.
E per essere credibili, continuo a domandarmi, le nostre tradizioni, le nostre processioni, sono o no un veicolo di evangelizzazione? Le facciamo per noi, per autocompiacerci in una sorta di tristissima auoreferenzialità, oppure – per usare ancora ancora le parole di Francesco, portano in sé la grazia della missionarietà, dell’evangelizzazione?
L’«Evangelii Gaudium» conclude il gruppo dei paragrafi dedicati alla pietà popolare con delle parole bellissime, rivolte ai nostri Pastori, ai Vescovi e ai sacerdoti: «Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla […]. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione» (126)./p>
Insomma, il Papa il compito ce lo affida e lo fa con grande fiducia. È un compito di grande responsabilità. Sta a noi saperlo cogliere e saperlo tradurre nel pratico, nella vita quotidiana delle nostre famiglie e delle nostre comunità confraternali. Qui nessuno ci chiede di essere qualcosa di diverso da quello che siamo: si chiede di vivere fino in fondo il nostro carisma, la nostra identità, la ragione stessa per la quale, a suo tempo, le nostre Confraternite sono state fondate. Facendo salve le peculiarità di ogni esperienza locale, la maggior parte delle Confraternite erette in Italia nei secoli scorsi, per lo più dopo il Concilio di Trento, avevano in comune alcune importanti caratteristiche: la conservazione e la trasmissione di alcune pie pratiche di culto e l’esercizio fattivo di opere di carità cristiana, ad intra, cioè fra gli stessi Confratelli, ma anche ad extra, aprendosi cioè ai bisogni e alle necessità del territorio in quella Confraternita era nata e di cui, in qualche modo era espressione. E come abbiamo visto, come ci insegnano tutti i Papi, almeno negli ultimi 70 anni, entrambe le caratteristiche possono essere considerate come due aspetti complementari dell’unico impegno di ciascuna Confraternita a testimoniare la Vera Fede secondo il proprio specifico carisma, e di tradurre quella fede in opere di carità. L’una e l’altra sono momenti della medesima opera di evangelizzazione.
Naturalmente, l’esercizio della carità, come tutta la vita di una qualunque Confraternita, ha bisogno di risorse umane e anche materiali. Come faccio ad attirare le persone? Quando una Confraternita si impegna per essere quel che deve essere, quando rimane ben salda nel solco tracciato dagli antenati, da quelli che ci hanno preceduto e che hanno voluto e fondato quella Confraternita, quando si ha ben chiara e forte la consapevolezza della propria identità, il resto lo farà lo Spirito Santo.
Cominciamo a combattere la buona battaglia con i soldati e con risorse che oggi abbiamo a disposizione. Se io Confraternita realizzo me stessa, il mio carisma, la mia identità, nei momenti di culto, nelle pie pratiche della tradizione, nelle opere di carità secondo le mie concrete disponibilità, se io Confraternita saprò essere un valido operatore di evangelizzazione, allora si che sarò credibile. E se sarò credibile, allora maturerò anche quel fascino, quell’attrattiva nei confronti di tanti fedeli che diranno: voglio esserci anche io, voglio farne parte.